Il farro di Monteleone di Spoleto è un prodotto straordinario, in grado di raccontare – attraverso la sua coltivazione, la sua storie e le ricette – un’intera regione: l’ Umbria. Il nostro blogger friend, Paolo Aramini, porta i lettori di Brickscape a scoprire il farro di Monteleone.
Sotto il cielo della Valnerina germogliano tre varietà principali di farro: Triticum dicoccum il “farro” per antonomasia- il Triticum monococcum ed una terza specie, il Triticum spelta detta anche ” falso farro”.
Queste tre varietà, assieme ad altre meno note, derivano dal Triticum dicoccoides, appartenente all’ordine delle Gluminfore, famiglia delle Greminacee e sottofamiglia delle Ordee rappresentano un elemento imprescindibile tanto nelle pratiche rurale quanto nell’alimentazione degli antichi umbri.
Presso i Latini il duro lavoro del contadino era comparato al combattimento del guerriero ed un raccolto abbondante veniva considerata un meritato premio al valore ed alla tenacia dell’agricoltore: un premio alla gloria.
L’arcaica ricompensa con la quale si premiava il soldato distintosi in combattimento consisteva in una buona quantità di farro, detta adorea poiché tostata al forno (dal verbo audere, abbrustolire) secondo le antiche usanze dei contadini umbro – sabini.
L’ottimo agricoltore ed il coraggioso soldato, dunque, venivano entrambi premiati con uno dei più antichi e sacri doni della Madre Terra: il farro.
Studi recenti hanno individuato l’origine di questo antico cereale, la cui coltivazione è fatta risalire al 7000 a.C., nella zona conosciuta come “Mezzaluna fertile”, in quella parte del bacino del Mediterraneo che va dal Mar Rosso al Golfo Persico, e la cui diffusione è attribuita ai pastori nomadi.
Fino a quando nell’economia rurale della Valnerina e, soprattutto, in quella porzione di altopiano percorso dal fiume Corno appartenente al territorio di Monteleone di Spoleto si seminava il farro per uso domestico, venivano coltivate due varietà principali di questo cereale: il farro dai chicchi bianchi e grossi ed il farro dai chicchi più piccoli.
Se le condizioni atmosferiche degli altipiani lo consentivano, la semina del farro avveniva nel mese di marzo o di aprile e si sceglievano terreno argillosi poco esposti al sole i quali garantivano un processo di maturazione più lento, e quindi migliore.
Monteleone di Spoleto, antico castello di poggio situato ad un’altezza di 978 m. s.l.m., è tra i borghi più belli e caratteristici della Valnerina. Nei secoli, grazie alla sua posizione, ha guadagnato l’appellativo di “Leone degli Appennini”.
A Monteleone di Spoleto, alla vigilia della festa di S. Nicola di Bari, celebrata il sei di dicembre, avveniva e avviene ancora oggi la distribuzione di farro condito con sugo magro ed insaporito con abbondante cacio pecorino.
Oggi “il farro di S.Nicola” è preparato nella canonica della chiesa dedicata al santo vescovo di Mira e, dopo essere stato benedetto, viene distribuito dal parroco ai bambini, secondo la millenaria credenza che identifica il santo come protettore dei fanciulli.
La chiesa parrocchiale di S. Nicola di Bari è posta nella parte più alta del centro storico in corrispondenza dell’originario castrum di Brufa. Era difatti la primitiva chiesa castellana diretta da un Prevosto e da otto Canonici. Ha origine altomedioevale sebbene nulla trapeli oggi delle fasi costruttive più antiche a seguito delle diverse ricostruzioni e cambiamenti.
Scopriamo come preparare uno dei piatti tipici della Valnerina, la Ricetta del Patrono, utilizzando il farro DOP di Monteleone di Spoleto, eccellenza dal sapore arcaico ed espressione della secolare civiltà rurale dell’antica Umbria.
Ingredienti per 4 persone:
4 pugnetti di farro;
cipolla abbondante;
sedano abbondante;
olio di oliva a discrezione;
pelati di pomodoro o salsa di pomodori (si possono aggiungere anche 2 patate);
Peperoncino;
Procedimento:
Tritare per bene cipolla e sedano e farli rosolare in pentola con olio e pomodoro.
Versare poi acqua e all’ebollizione mettere il farro. Successivamente mescolare frequentemente e far cuocere per circa mezz’ora e, verso fine cottura, aggiungere un pizzico di peperoncino.
Una ricchissima documentazione su questo cereale è conservata nell’Archivio Comunale di Monteleone di Spoleto, dove nella rub. III del Libro IV dello Statuto Comunale – codificazione scritta di antiche consuetudini del Castello che assumono valore di norme da rispettare – vengono prescritte le ammende da pagare per gli animali che arrecano danno alle colture, comminate in libre dieci di dinari per il farro.
Una riprova dell’importanza del farro nel mondo romano è offerta dall’etimo del vocabolo italiano “farina” – lemma derivato per l’appunto da far(r)ina – a testimonianza di un’epoca arcaica in cui il cereale alla base dell’alimentazione era il farro.
L’archeologia conferma, inoltre, l’esclusività dell’uso del farro nella dieta della Roma Antica, infatti non a caso nel sepolcreto arcaico del foro romano sono stati rinvenuti grani delle due specie principali di farro: il Triticum dicoccum ed il Triticum monococcum.